DESIDERI SOPITI
La nebbia cristallizzava per effetto del vento del nord e cadeva sotto forma di minuscole schegge ghiacciate che, non appena uscì dal porticato, la avvolsero in un freddo bozzolo. Le stilettate del gelo, così intenso da farsi largo sino alle sue ossa, la fecero tremare, mentre accostava le mani pallide alle labbra per soffiarvi un po’ di tepore. Corse sull’acciottolato della strada deserta, senza udire null’altro che i tonfi del proprio cuore. L’oscurità era totale e le impediva di capire dove fosse.
Come era finita lì?, si chiese disperata, ma era troppo terrorizzata per rispondere anche alla domanda più elementare.
Solo dopo un tempo che le parve eterno, riuscì a scorgere un bagliore. Si trattava di una lanterna appesa all’angolo fra due strade. La raggiunse lasciandosi sfuggire un sospiro di sollievo. Se avesse letto un’insegna o riconosciuto un negozio avrebbe potuto orientarsi, Mantova era pur sempre la città in cui era nata.
Sapeva che non avrebbe dovuto trovarsi sola, senza scorta, sperduta fra le viuzze del centro cittadino, nel mezzo della notte, ma il pensiero che William fosse in pericolo non le lasciava pace. Doveva raggiungerlo, stargli accanto e sentire il calore che il suo corpo emanava, solo così avrebbe potuto liberarsi del ghiaccio che le serrava il petto.
Il silenzio opprimente di un attimo prima fu squarciato dal rumore cadenzato di stivali sull’acciottolato. Si mise in ascolto e le giunse alle orecchie uno scalpiccio veloce di passi dietro di sé. Accelerò l’andatura, e anche i passi fecero lo stesso.
Qualcuno la seguiva, capì.
Si voltò e la vide: una sagoma scura che si avvicinava. Svoltò in un vicolo ed entrò nel primo stabile illuminato che riuscì a trovare: un’osteria. Quando irruppe, seguita da una folata di vento e da un turbine di nevischio, gli avventori le lanciarono occhiate cariche di cupidigia. Matilde strinse il mantello sotto il mento e, per distogliere l’attenzione da sé, sedette su una panca addossata alla parete d’ingresso, augurandosi di diventare invisibile. Non sapeva cosa fare. Non osava tornare subito fuori, per paura di incappare nel suo inseguitore, posto che esistesse davvero e non si fosse immaginata tutto quanto; tuttavia non voleva nemmeno rimanere in quel locale che puzzava di vino e sudore, colmo di marinai dai volti rudi e minacciosi.
Una cameriera con i capelli corvini sciolti sulla spalle e abiti provocanti, si avvicinò e le chiese: «Volete che vi porti qualcosa, signorina?».
Matilde, distratta dal tintinnio dei numerosi bracciali d’oro che roteavano al polso della donna, scosse il capo in segno di diniego. La cameriera alzò le spalle con noncuranza e tornò dietro al bancone per riferire qualcosa all’uomo che mesceva il vino. Quest’ultimo scoppiò a ridere, si pulì le mani nel grembiule sporco che portava allacciato alla cintura, quindi avanzò baldanzoso verso Matilde. Era un energumeno corpulento, con la pancia gonfia e la barba cespugliosa che gli nascondeva buona parte del viso.
«Cercate qualcuno, bellezza? Forse desiderate compagnia… Sembrate una signora per bene, ma chi può dire cosa celino i vostri abiti costosi…»
Le si era avvicinato rapido, chiudendole la via di fuga, poi si era seduto accanto a lei e, prima che riuscisse a sfuggirgli, le aveva afferrato il polso. Matilde si divincolò, e l’oste con una delle sue rudi braccia le cinse la vita e l’attirò a sé, mentre gli avventori del locale lo incitavano con frasi volgari. La nausea l’assalì e le lacrime le pizzicarono gli occhi, mentre cercava con tutte le sue forze di liberarsi.
«Lasciatemi, subito!» intimò, cercando di apparire calma e autorevole, anche se il cappio invisibile del panico le stringeva la gola. Assestò un calcio alla gamba del rozzo oste, e l'uomo si piegò su se stesso, un attimo prima che accadesse l’inimmaginabile.
La porta dell’osteria si spalancò, lasciando entrare un turbine di nevischio e un grosso rapace notturno che, con un richiamo acuto, irruppe, volando in circolo sopra le teste degli avventori terrorizzati. Ci fu chi gridò al malocchio, chi si segnò con la mano destra e chi semplicemente abbandonò la bottiglia per darsela a gambe. L’oste, atterrito all’idea di perdere tutti gli avventori, iniziò a urlare rassicurazioni, lasciando andare Matilde, che si affrettò ad allontanarsi dalla bettola.
Fu grata di poter uscire nel vicolo deserto, nonostante l'abbraccio del gelo che trasformò in nuvole di vapore bianco il suo fiato. Poggiando una mano contro il muro, si accorse di tremare, in parte per il freddo, in parte per lo spavento.
«William» mormorò a fior di labbra, per infondersi coraggio. Il desiderio di rivederlo era talmente forte che bastò questo per calmare il suo cuore impazzito.
Chiuse gli occhi e, quando braccia calde la avvolsero, non provò terrore, ma solo un desiderio struggente di abbandonarsi alla loro forza. L'inconfondibile aroma di cuoio e legna da ardere che le arrivò alle narici, la riempì di gioia incontenibile confermandole che doveva essere lui, perché nessun’altro riusciva a farla sentire a casa e al tempo stesso sulla vetta più alta del mondo. William era la sua promessa di vita e felicità, il motivo per cui il terrore non l’avrebbe mai piegata. Inghiottì le lacrime di gratitudine che le erano salite agli occhi e poggiò il capo sul suo ampio petto.
Lui le posò una mano sulla nuca e la cullò a sé, saldo come una roccia. Matilde aprì gli occhi e, finalmente, lo vide in volto. Labbra rese ruvide dal gelo, ma roventi come se racchiudessero il segreto stesso della vita, le sorrisero piegandosi in una linea sensuale. Gli zigomi pronunciati erano arrossati dal gelo e scivolando con lo sguardo sulla loro superficie granitica arrivò ad ammirare il miracolo della natura per cui ogni volta perdeva un battito del cuore: gli occhi scuri, intensi e avvolgenti, che contrastavano con i capelli biondi.
Inferno e paradiso insieme, uniti per legarla senza possibilità di fuga.
«Oh, William, ti stavo cercando. Ti cerco da così tante ore che credevo di diventare pazza… Dov’eri?» chiese Matilde, sentendo l’ormai famigliare rollio del cuore in gola.
«Amore mio, non sono mai lontano da te, non devi temere nulla. Quando il tuo cuore chiama, il mio risponde e per te io ci sarò sempre» disse lui con semplicità, sorridendole.
Pagliuzze dorate scintillavano nelle profondità oscure delle sue iridi, illuminandole e creando giochi di colore. Le trasmisero tepore, come se stesse osservando un fuoco vivace, e in quel momento si accorse di non sentire più freddo.
Lui si piegò verso di lei, era molto alto e aveva braccia potenti fasciate dalla divisa dei Cacciatori di Sua Maestà, la bocca fu a un palmo dalla sua e Matilde si mordicchiò un labbro impaziente. La paura, il buio della notte, il pericolo, tutto era esorcizzato dalla sua presenza. Ora, più di ogni altra cosa, desiderava uno dei suoi baci ardenti, quelli che la facevano rinascere dalle proprie ceneri e le scatenavano turbe di farfalle impazzite nello stomaco. Desiderava che, rapito dall’entusiasmo di averla accanto, la stringesse fra le braccia sollevandola da terra. Adorava quando lo faceva. In quei momenti si sentiva al centro dell’universo e completamente libera. Non poteva più vivere senza di lui!
«Dici sempre così, ma non so mai se tu sia al sicuro…» insistette lei. «Mi preoccupo per te.» Sapeva che lui era in grado di cavarsela anche nelle situazioni più difficili, non dubitava della sua forza, ma ogni volta che pensava a William diventava totalmente irrazionale. Teneva troppo a lui. Era la ragione che l’aveva spinta a tornare a vivere, vincendo le tenebre, e ogni suo bacio o carezza era infinitamente prezioso.
«Cerchi di ribaltare la situazione, sebbene pesi il triplo di te e abbia un’arma al fianco. Sono io che dovrei preoccuparmi. Sai quanto sia pericoloso girare di notte per le strade della città. Non dovevi venirmi a cercare, eppure non riuscirei a farti attendere al sicuro nemmeno se ti mettessi una pattuglia alle calcagna, giorno e notte. Per fortuna so come persuaderti a seguire i miei consigli, ed è un metodo molto piacevole…» disse William e, finalmente, posò le labbra sulle sue.
L’aveva fatta attendere, ma la ricompensa superò di gran lunga ogni aspettativa. Fu come venire risucchiati dalla marea, finire sott'acqua senza fiato e poi riemergere in superficie per tornare a respirare. Un brivido le percorse il corpo arrivando a lambirle ogni nervo nascosto, scendendo in profondità. Si sentì perduta, ma la delizia degli affondi della sua lingua era appena all’inizio e lei aveva così tanti frammenti d’anima da regalargli.
Aprì gli occhi. William la stringeva ancora, ma con meno forza. Aggrottò la fronte contrariata, quasi disturbata da un rumore lieve e ritmico. Era lo sbattere d’ali, blu come l’oceano, di una farfalla che scendeva dall’alto fra i fiocchi di neve turbinanti. Matilde strabuzzò gli occhi. Una farfalla? Fra la neve? Era impossibile. Esattamente come lo era stato l'ingresso del rapace nell'osteria. Il corpo di William che la stringeva fra le braccia iniziò a perdere consistenza, i contorni persero definizione e una nebbia bianca tolse ogni colore, mentre in lei si faceva strada la consapevolezza dell'irrealtà di ciò che la circondava. L'irrealtà tipica dei sogni.
Non ora, pensò. Non voleva svegliarsi in quel momento, mentre le mani di William si muovevano sul suo corpo risvegliandolo con tocchi lievi. Non ora che avrebbe finalmente sentito le sue dita ruvide sulla pelle, stuzzicarla fino a farla gemere. Ma le ali della farfalla, con il loro opalescente splendore, la sfiorarono e la riportarono alla realtà.
Matilde aprì gli occhi. Era nel proprio letto, al sicuro, avviluppata in calde coperte. Lontana da William, ma legata a lui da quella notte di desideri sopiti. Ora lo sapeva: passione, amore, calore e vita avevano il suo volto le sue forti braccia, non le restava che abbandonarsi a esse.
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