All'interno del romanzo I colori della nebbia non poteva mancare una scena che mettesse in risalto il magnifico Teatro Bibiena di Mantova.
Ed è una scena veramente molto avvincente e centrale alla storia... come scoprirete leggendolo, durante la quale nel teatro viene messa in scena l'opera lirica Il pomo d'oro.
Il Pomo d'oro,
rappresentato per la prima volta a Vienna
nel 1668, è forse la più famosa opera lirica di Antonio Cesti.
Messo in scena per celebrare il secondo matrimonio dell'Imperatore
Leopoldo I con la principessa Margherita, infanta di Spagna,
il dramma musicato risultò straordinario agli
occhi del pubblico dell'epoca. Straordinario per ampiezza
(cinque atti allestiti in due giornate successive) e per impiego di
mezzi: quasi cinquanta cantanti, cori e comparse a non finire (con
leoni ed elefanti), balli e armeggiamenti, e ben 26 cambi di scena
per la cui complessità fu necessario costruire un teatro apposito.
L'opera infatti prevedeva
l'utilizzo di una grande orchestra, numerosi cori e diversi congegni
meccanici, usati per rappresentare situazioni come gli dei che
discendevano dall'Olimpo, battaglie navali e tempeste.
Il pomo d’oro spicca soprattutto per la
magnificenza delle scene di Ludovico Burnacini – impressionante la
sesta del secondo atto, dove la città di Dite in fiamme è
circondata dalle acque su cui naviga la barca di Caronte, il tutto
contenuto nella gola di un enorme mostro infernale con le fauci
spalancate grandi quanto il boccascena (fauci che poi,
incredibilmente, si richiuderanno); e altrettanto stupefacente la Via
Lattea in cui compare la Sfera del Fuoco con Venere trionfante ; così
il crollo a vista dell’enorme torre che contiene il pomo d’oro
(in fine d’opera), e in generale tutto il quarto atto, con ben otto
mutazioni, stupisce per macchine e azzardi scenografici (per non
parlare degli apparati di città celesti pronti a splendere fra le
nuvole a ogni divina apparizione). La storia raccontata dal
librettista Sbarra, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare,
si distingue per linearità e coerenza. In breve: l’opera si apre
con il noto episodio della mela destinata «alla più bella» – la
Discordia che la getta ai piedi delle tre matriarche del cielo
(Pallade, Giunone e Venere), le gelosie di queste, l’intervento di
Giove, l’elezione di Paride a giudice supremo, e la consegna del
pomo a Venere (che ha corrotto Paride offrendogli l’amore di Elena,
la più bella della terra) – e tutto è raccontato con arguzia e
divertimento nel primo atto . Il seguito racconta di Paride che
lascia Ennone per Elena, di Ennone che prima si dispera e poi si
consola con il bel pastorello Aurindo, delle reciproche vendette di
Pallade (che assolda Marte) e Giunone (aiutata da Nettuno), di Venere
che difende Paride dalla furia delle due e di Giove che, stanco di
tanto trambusto, si riprende il pomo e lo dona alla celebrata
imperatrice Margherita (i cui trionfi, suoi e del marito, erano già
stati preannunciati nel prologo delle nazioni). Sbarra, come sempre,
offre un libretto dalla versificazione semplice, snella, scherzosa,
ricca di rime attente al metro e alla destinazione musicale, ma al
contempo ironico, intelligente, arguto, spesso malizioso e
disincantato – per esempio con un Momo al limite dell’eresia: «il
viver nostro è giusto una commedia (...). Ma doppo l’ultim’atto
in van s’attende De l’humana vicenda Altra nuova apparenza, Per
che quando la favola è finita Restano spenti i lumi De la speme non
men che della vita».
Per la sua immensità e unicità l'opera offre una
panoramica quasi completa delle forme dell’opera italiana coeva:
presenti i tipi più diversi di aria, arioso, recitativo, e poi
infinite le ariette, i lamenti, i duetti, terzetti, quartetti, cori
con o senza soli, scene pastorali, infernali, comiche, amorose,
trionfali, sinfonie, balli, tempeste e quant’altro – fra cui
un’arditezza di colorature per Pallade (“Non più pugne
giocose”).
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